BIANCO D’ALESSANO, VITIGNO: RITORNO AL FUTURO
Bianco d’Alessano, vitigno back to futureFRANCESCO GRECO – Questa è una storia che riecheggia le radici magno-greche di Terra d’Otranto, sospese fra odissea e anabasi. Si racconta del dolce ritorno a casa di una pianta, un vitigno di uva da vino che per secoli è vissuto a due passi da Jonio e Adriatico, fruttandosi perciò di sale e di nostoi, di epos e di leggende, e poi, per quei barocchismi che la storia spesso offre, si era quasi estinto in loco per emigrare in altre lande e continuare a illuminare il sorriso, la vita, la convivialità, la tavola degli uomini e degli dèi.
Perché dalla Terra d’Otranto non vanno via solo le persone migliori in cerca di pane e dignità, ma anche le piante. Il bianco d’Alessano, per esempio.
Anni fa il biologo Francesco Minonne, Unisalento, aveva raccolto qualche propaggine sopravvissuta fra ulivi ancora vivi e tabacco, e provato a far rivivere il vitigno.
Ad Alessano Raimondo Massaro aveva aperto un’enoteca, su via Scipione Sangiovanni, chiamandola appunto col nome del celebre vitigno. Ora un ingegnere, Giacomo De Vito e un medico di base, Giuseppe Monaco, hanno trovato nel Barese e messo a dimora un po’ di piantine e del “bianco” (registrato dal Ministero delle Politiche Agricole nel 1970) si è tornati a parlare.
De Vito ha trovato vivo interesse sul tema nel sindaco di Alessano, Osvaldo Stendardo e l’assessore al turismo, Paolo Marasco. “Potrebbe essere l’idea vincente per rivitalizzare il territorio desertificato dalla piaga della xylella”, osserva acutamente il prof. Antonio Negro.
Un “back to future” anche come tecnica di coltura: nel passato, si metteva a dimora la vigna e gli ulivi e finché questi arrivavano a produzione, i vitigni, più veloci, sostenevano l’economia delle famiglie contadine e il vino rallegrava la vita dei suoi coltivatori.
Ing. De Vito, com’è cominciato il ritorno del Bianco d’Alessano?
“Siamo stati solleticati nell’orgoglio di campanile da un nostro amico di Milano, l’architetto Gigi Capriolo. Il 24 settembre scorso aveva ascoltato in tv, nel programma di Antonella Clerici “E’ sempre Mezzogiorno”, l’enogastronomo Andrea Amadei decantare le peculiarità dei vini bianchi pugliesi, “rari in una terra rossa, circondata dal mare e in particolare le uve che costituiscono il Tridente della Valle d’Itria”, nominava il “Bianco d’Alessano” come uno dei tre componenti essenziali del “Locorotondo superiore Bianco Doc”, insieme alla Verdeca e al Fiano Minutolo.
L’architetto, esperto e conoscitore appassionato del territorio salentino, anche di Alessano, dove nel lontano 1996 aveva preso parte a un convegno, meravigliato e in tono di bonario rimprovero, ci chiedeva conto del nostro silenzio su un tale gioiello del nostro paese e della nostra ignoranza in materia”.Una provocazione che è stata raccolta da voi in loco…
“E’ bastato per mettersi alla sua ricerca e assumersi l’impegno di “riportarlo a casa”Infatti, dopo qualche settimana, veniva intervistato Giuliano Rizzo, l’ultimo viticoltore del “Bianco d’Alessano” e si scopriva che fino agli anni ’70 esisteva una vigna di Pompeo Torsello dove si potevano trovare gli ultimi “grappoli” in contrada “Munti”, zona “Aspri” sul plateau e nelle vicinanze della Serra dei Cianci, zona S.I.C. (Sito di Importanza Comunitaria)”.
Spieghiamo meglio il background…
“In quegli anni Rizzo si procurava da Pompeo Torsello i virgulti, li faceva innestare su barbatelle di Otranto con passione e fatica, tanto da recarsi prima ancora dell’alba a Novoli per portare con sé gli ”esperti innestatori” e poter realizzare un vigneto con sistema a “spalliera” del “Bianco d’Alessano”, nelle vicinanze della strada provinciale “Donnamilla” di circa 70 are da cui ricavare per un lungo periodo circa 50 quintali di uva di uva da vino all’anno”.
Poi i vigneti furono assurdamente formattati: come accadde?
“Dopo circa dieci anni, a causa anche di una politica Comunitaria Europea che si diceva tesa a favorire in quel tempo altre realtà, nonché, attraverso contributi fino a dieci milioni di lire all’ettaro per l’espianto, il nostro vitigno emigrò”.
In loco però qualcuno non si arrese a tali politiche scellerate tese a favorire altre nazioni d’Europa con la complicità delle quinte colonne politiche italiane……
“Perdevamo il vitigno, ma per la sensibilità di Raimondo Massaro, che apriva un’enoteca chiamandola, non a caso, proprio “Bianco d’Alessano”, avevamo ancora l’occasione di sentirlo nostalgicamente vicino”.
Torniamo al giorno d’oggi…
“In una bella mattina di ottobre siamo partiti da piazza Mercato, nel centro storico, alla volta della zona di Bitetto, nel Barese, per ritirare 40 vitigni in vaso in precedenza ordinati.
Entusiasti per l’insperato buon esito della laboriosa ricerca nei rari luoghi di produzione, siamo tornati a casa carichi di aspettative e fieri di riconsegnare al paese il bene perduto”.
A volte i sogni si avverano…
“Già. Qui li abbiamo affidati in custodia all’amico Fernando, vecchio compagno di scuola e a Francesco, non solo sodali nel progetto, ma anche compartecipi del sentimento di essere solo gli strumenti dei sogni di un paese intero”.
Dove sono adesso le piante?
“Da ottobre fino ai primi di gennaio 2022, la principale cura, per la realizzazione del piccolo vigneto, un fazzoletto in contrada “Matine”, è stata quella di preparare il terreno per far “emergere il buon Genio del Luogo”.
Non è sembrata al momento una gran fatica, semmai un orgoglio, consapevoli che questo nostro darci da fare per sole 40 piante era in fondo il modo per simboleggiare un evento, un ritorno che altri, veri esperti, potranno prendere come spunto per creare qualcosa di più importante per Alessano.
Il 21 gennaio, col favore di un intervallo di tempo benevolo e benaugurante, abbiamo completato il vigneto con l’utilizzo delle migliori conoscenze e tecniche a disposizione, ricavando 8 filari orientati in direzione est-ovest in modo che il sole ne baci i grappoli tutto il giorno”.
Lieto fine per il vitigno autoctono…
“La mission che ci eravamo imposta è conclusa. Veder crescere questi arbusti rampicanti sarà per noi l’occasione di gioire e nel tempo, come “quattro amici al bar”, rivivere con tenerezza la singolare esperienza”.